Certo un palato mediterraneo mal sopporta una presenza così ingombrante di burro ed altri grassi animali al posto dell’olio d’oliva, impossibile, dopo qualche giorno , non desiderare alimenti più leggeri, soprattutto delle verdure, qui impiegate più come decorazioni che per la preparazione di vere e proprie pietanze.
A costo di apparire provinciali, ammettiamolo, ci è mancata anche una semplice pasta , con un sugo fresco e leggero. Perché non di sola carne si vive e neppure dei pochi pesci che vengono proposti nei ristoranti, e solo in quelli più costosi o nei pochi specializzati, e in ogni caso talmente trasformati da essere talvolta irriconoscibili. Devo ammettere che i vini borgognoni sono straordinari, ma, quanto alla cucina, preferisco quella della Francia mediterranea. Detto questo e premesso che le note che seguono sono del tutto personali e non sono in alcun modo rappresentative di tutta la Borgogna e neppure di Beaune, ecco le nostre impressioni.
In questi giorni borgognoni abbiamo mangiato in ristoranti veri e propri solo la sera. Di giorno siamo stati impegnati nelle degustazioni, praticamente ininterrotte, e abbiamo approfittato dei buffet predisposti dall’organizzazione. Le sere che siamo stati liberi, siamo invece andati al ristorante.Siamo tornati- la prima sera- al Piqu’boeuf, ristorante specializzato in carni, nella centralissima rue du Faubourg Madeleine (al n. 2). C’eravamo stati già a novembre scorso, in occasione delle Trois glorieuses. Un ambiente caldo , anche di temperatura, visto che si è accolti in un’ampia sala nella quale campeggia un camino omerico, nel quale si arrostiscono le carni. Menu (autour du cassis a 24 euro, délice de Bourgogne a 29, formule a 15 ), prevalentemente di terra, nel quale le carni hanno ovviamente un posto privilegiato. Questa volta l’arrosto di charolais ci è piaciuto di meno: la carne era tenera, ma forse il taglio prescelto non era il più adatto per la brace. L’accompagnavano patate cotte nella cenere (buone). Il bicchierino di apertura, con una spumetta salatissima al tonno l’abbiamo lasciato. Buono e a prezzo amichevole, anche sulla base delle esperienze successive,il vino, un Auxey-Duresses vieilles vignes di Alain Gras, molto consigliabile .
Poco distante, in rue d’Alsace, è La part des anges, un localino accogliente, molto frequentato da giovani. Anche qui la scelta della carne è praticamente d’obbligo, a meno che non si amino (personalmente non ne sono un fan) le coquilles Saint-Jacques, come sempre ricoperte da salse molto elaborate e il tonno, verosimilmente congelato. Abbiamo scelto delle costine d’agnello, discrete anche se un po’ grasse, molto salsate, accompagnate da un mélange di verdure un po’ insipide e il cui gusto era letteralmente sepolto dal condimento dell’agnello.Che prezzi i vini: dei semplici villages di piccole appellations a più di 40 euro, per non parlare di quelli dei migliori terroirs. Bella scelta, comunque. Altrimenti resta , per coloro che l’amano, la birra. Cucina più fusion nel bel La Maison du Colombier , nella centralissima rue Charles Cloutier , a pochi passi dagli Hospices: più un gastro-bar che ristorante vero e proprio. Puntiamo su un bel Patanegra, tartine di foie gras , tataki di salmone, acciughe e gamberi, l’oeuf 63° (il piatto più interessante) che avevo già apprezzato lo scorso novembre, ricoperto di scaglie di tartufo nero, uns piccola scelta di formaggi. Bella carta dei vini, con discrete offerte anche al bicchiere. Quanto alle bottiglie, i prezzi sono stranamente assai più convenienti per i vini di altre regioni della Francia (belle etichette di Loira, Rodano, Alsazia); meno allettanti quelli dei vini di Borgogna, di cui vi è però un’ottima scelta Scegliamo un onesto Chablis del Domaine de l’Elise in apertura, poi una piccola trasgressione con un Bandol provenzale del Domaine Tempier. Alla fine sarà il locale dove siamo stati meglio: caldo, allegro, piacevolmente informale.
Una serata l’abbiamo passata a Dijon, alla ricerca delle famose moutardes. Siamo tornati , dopo due anni, alla Dame d’Aquitaine, bel locale in place Bossuet (al n. 23) ricavato in una fascinosa cripta medievale del XIII secolo, nel sottosuolo di un edificio seicentesco. La prima volta ci era piaciuto moltissimo.Anche l’ambiente ci è sembrato un po’ più freddo (sono forse cambiate le luci?). Menu molto ricchi (proposte a 34, 43 e 49 euro, 24 a pranzo), forse per stanchezza scegliamo male, il menu tradition, che comprendeva un pollo assassino ricoperto di una salsa molto spessa, che ci ha tormentato tutta la notte . Forse abbiamo scelto male, forse non era serata, chissà.Molto gentile il servizio e comunque eccellente il vino, un Gevrey-Chambertin 2010 di Trapet servito a prezzo molto ragionevole (45 euro). Peccato.Da verificare una prossima volta.
(Pubblicato il 12.4.2014)