Meadows, A.D. & Barzelay, D.E. (2018). Burgundy Vintages. A History from 1845. Tarzana (CA): BourghoundBooks.com, X+ 586 pp.,$ 79.99
A meno di un anno dalla riedizione aggiornata alle annate più recenti dell’agile volumetto di Jacky Rigaux, “Cent millésimes en Bourgogne 1917-2017”, ecco ora una nuova ambiziosa monografia sulle vendemmie borgognone dal 1845 al 2015. Ne sono autori Allen D. Meadows, più conosciuto come Mr. Burghound, di cui i “borgognologi” smaliziati ben conoscono “The Pearl of Côte”, dedicato ai climats di Vosne-Romanée, e creatore di Burghound.com, e il noto collector Douglas E. Barzelay , colui che nel 2008 incastrò Rudy Kurniawan segnalando a Laurent Ponsot l’impossibile vendita di annate inesistenti del suo Clos Saint-Denis.
Straordinaria enciclopedia, più che una semplice guida, questo libro riporta letteralmente in vita 170 anni di storia del vino in Borgogna, basandosi, per la valutazione dei vini più antichi, su documenti dell’epoca e “impossibili” assaggi diretti di bottiglie ultracentenarie, che gli autori hanno potuto effettuare grazie anche alla disponibilità di alcuni produttori storici (come Pierre Gagey, Louis Latour, Bouchard Père, Comte Liger-Belair, Marquis d’Angerville ed altri) “who selflessy shared their cellar treasures and opened their archives”.
Ha scritto Aubert De Villaine che “non si possono apprezzare davvero i vini della Borgogna senza conoscerne la storia”. E la storia di questi vini è estremamente complessa, come appare fin dalle prime pagine di questo libro, che, pur essendo principalmente focalizzato sulla valutazione delle diverse annate, non manca di delinearne le fasi nelle efficaci sintesi introduttive che precedono l’esame di ciascun decennio. Punto di inizio della ricostruzione dei due autori è la metà dell’Ottocento, con i difficili anni 1845-1849, nei quali la Borgogna vinicola si trovò ad affrontare una crisi profondissima, testimoniata drammaticamente da una caduta delle entrate del 55% nel decennio precedente. La viticultura borgognona, dopo la tempesta rivoluzionaria, era in piena anarchia, e il futuro delle varietà che l’avrebbero resa grande, il pinot noir e lo chardonnay, appariva gravemente minacciato dalla rapida diffusione del gamay e di altre varietà comuni ad alta produttività. Furono vendemmie misere, quelle, anche per la qualità, illuminate solo dallo splendido 1846, prima delle quattro annate a 5 stelle (il livello qualitativo più alto nella scala valutativa adottata dagli autori) dell’Ottocento. Ma fu proprio in quegli anni, come riferisce Latour, che è anche appassionato storico, che i viticultori più impegnati, riuniti in assemblea, posero le basi per la rinascita, affermando quei principi fondamentali che avrebbero caratterizzato la viticultura della regione, primo fra i quali la delimitazione precisa dei cru migliori. Nei due decenni successivi l’espansione della rete ferroviaria divenne il principale fattore della rinascita economica,che apriva le porte del futuro al vino borgognone, mentre la pubblicazione del libro del Dr. Lavalle (1855), ricostruiva la continuità ideale con la grande tradizione passata. A spingere con forza in direzione del progresso fu un altro libro, di Jules Guyot (1860), inventore del famoso sistema d’impianto, che indicava nel ricorso alla scienza e alla tecnologia i fattori cruciali per il miglioramento della qualità dei vini. Il ritorno della guerra , con il conflitto franco-prussiano del 1870 , segnò un brusco arresto di quel periodo favorevole, aggravato poi dall’invasione fillosserica, giunta al suo culmine nel decennio successivo, e dall’arrivo della peronospora. Nell’ultimo decennio del secolo cominciava la nuova, lenta resurrezione: le vigne a piede franco erano infatti ancora la maggioranza, anche se erano già disponibili i portainnesto americani, e il 41% di esse era lasciato incolto nel 1889, ma intanto si facevano strada i nuovi sistemi di viticultura, con l’abbandono del provignage e la drastica riduzione della densità degli impianti. L’inizio del nuovo secolo vide il proseguimento, sia pur lento, della ricostruzione, scandita dalle gemme delle vendemmie del 1906 e del 1911, ma la prima guerra mondiale era ormai alle porte: ciò nonostante questo periodo regalò uno straordinario 1915, per gli autori, il più grande millesimo del XX secolo. La Golden Era del vino borgognone cominciò però alla fine della guerra, negli anni ’20, premiati da due millesimi eccezionali (1923 e 1929), e il decennio successivo, che precedette il secondo conflitto mondiale, fu anche quello in cui si gettarono i semi della Borgogna moderna. Mentre proseguiva l’eterno scontro tra négociants e proprietari, con la legge del 1919 avevano inizio i primi tentativi di regolazione normativa delle denominazioni vinicole,che avrebbero portato alla istituzione delle AOC poco più di 15 anni dopo,mentre il miglioramento delle condizioni economiche generali derivanti dalla forte svalutazione del franco francese del ’26 apriva la strada delle esportazioni. La graduale sostituzione del provignage nei nuovi impianti permise l’ingresso dei cavalli nelle vigne, prima assai più raro, cominciavano intanto ad essere introdotti i primi fertilizzanti e si assisté agli esordi della meccanizzazione, con le prime macchine imbottigliatrici. L’introduzione del sistema delle appellations, alla metà degli anni ’30, favorì , pur tra grandi difficoltà, anche il processo di autonomizzazione dai négociants di numerosi vignerons (tra questi molti grandi nomi di oggi) che cominciarono a produrre e commercializzare in proprio i loro vini. Prima della guerra solo la vendemmia del 1934 (in quello stesso anno nasceva la Confrérie des Chaveliers du Tastevin), abbastanza isolata tra altre complessivamente mediocri, raggiunse la massima valutazione, ma la qualità dei vini cominciava lentamente a salire. Gli anni ’40 furono quelli delle privazioni di guerra, dell’occupazione, e poi della nuova ricostruzione. Due splendide annate (1945 e 1949), celebrarono nel modo migliore la liberazione dall’invasore e il ritorno della pace. I decenni ’50-‘60 furono anni di grandi cambiamenti, con l’impiego dei trattori, di presse e pompe elettriche, delle prime forme di controllo delle temperature ed altre innovazioni che modificarono profondamente il modo di fare vino. Non tutti però positivi: essi furono segnati infatti dall’ingresso massiccio della chimica nel mondo del vino. Il processo innovativo crebbe in profondità ed estensione nel decennio successivo, nel corso del quale vi furono anche numerosi cambiamenti nella proprietà derivanti dalle acquisizioni di vigne anche al di fuori dei territori del proprio comune. Gli anni ’70 sono definiti dai due autori come quelli nei quali la Borgogna perse la propria strada. L’impiego massiccio dei fertilizzanti, l’affermarsi di metodi produttivistici,la disonestà di molti négociants che importavano vini algerini per colorare e rafforzare vini anemici ed eccessivamente diluiti, provocarono l’inevitabile decadimento qualitativo dei vini e la sfiducia dei mercati: nel 1974 la tradizionale Asta degli Hospices di Beaune vide crollare le proprie vendite del 25-30% rispetto all’anno precedente. La pressione finanziaria spinse un sempre maggior numero di produttori a svincolarsi dal pesante abbraccio dei négociants e a vinificare ed elevare i propri vini direttamente, ma questo processo non fu privo di difficoltà, per la cronica mancanza di capitali , spazi e tecnologie , e il processo di cambiamento richiese un certo tempo. Gli anni ’80 segnarono una decisa inversione di tendenza e il ritorno alla tradizione : una nuova generazione di giovani e più preparati vignerons, molti dei quali avevano frequentato il Lycée Viticole di Beaune, come Christophe Roumier e Dominique Lafon, colpiti dal decadimento qualitativo dei vini degli anni ’70 rispetto a quelli dei periodi precedenti, impressero un forte cambiamento che si rafforzò nel decennio successivo, allorquando cominciarono a vedersi gli effetti della rigenerazione dei suoli, anche se il progresso fu in parte oscurato dall’inquietante apparizione dell’Esca, un’infezione capace di trasformare in spugne il legno delle viti. L’ultimo decennio del secolo scorso consolidò il costante miglioramento della qualità dei vini, soprattutto rossi, mentre i bianchi dovettero affrontare la minaccia della Premox. Negli anni duemila l’ascesa qualitativa e la reputazione internazionale dei vini borgognoni raggiunse livelli mai conosciuti prima, e con esse cominciò anche l’apparentemente inarrestabile ascesa dei prezzi. Siamo intanto giunti ai giorni nostri, segnati dalla crescente imprevedibilità climatica, con gelate e grandinate che hanno devastato i vigneti della Côte de Beaune, e, sia pure in misura minore, la Côte de Nuits, provocando una forte riduzione dei volumi. Il conseguente innalzamento dei prezzi, derivante dalla scarsa disponibilità di riserve e dall’aumento della domanda estera, ha cambiato l’orientamento dei consumatori abituali, che si rivolgono verso i vini meno costosi, provenienti dalle piccole appellations , come Marsannay o Rully. Se queste ultime ne hanno tratto dei benefici, resta il fatto che una quota crescente dei cru migliori è ormai pressoché interamente consumata all’estero ed è diventata bersaglio privilegiato delle contraffazioni. Altri fenomeni importanti sono i sempre più frequenti cambiamenti della proprietà dei terreni, conseguenza della pesantezza delle leggi napoleoniche sull’eredità, e della spinta a vendere dei proprietari che, vivendo fuori della Borgogna, e percependo scarse rendite annuali dalle loro terre, intravedono la possibilità di ricavi altissimi dalle vendite; la lenta, ma crescente globalizzazione , derivante non solo dalla nuova configurazione dei mercati e in particolare dall’esplosione di quelli asiatici, ma anche degli investimenti effettuati in altre regioni vicine della Francia (Beaujolais, Jura, Alsazia) e fuori (Oregon); la proliferazione di piccole, nuove, maison de négoce da parte di produttori in crescita di capacità produttive, ma con limiti di capitale e di opportunità di espansione, spesso con caratteristiche premium per la reputazione acquisita dai winemakers. Un quadro incerto e per molti versi imprevedibile,nel quale l’instabilità del quadro politico internazionale, nella comunità europea e oltre, si aggiunge alle nuove sfide poste dal riscaldamento climatico, che sembra in grado di mettere a rischio la stessa definizione della gerarchia dei climats, costruita nel corso dello scorso millennio e recentemente riconosciuta dall’UNESCO come eredità del patrimonio mondiale.
La particolarità di questo libro, destinato a diventare opera di riferimento fondamentale per tutti coloro che si interessano ai vini della Borgogna, appare evidente al lettore fin dalle prime pagine. La valutazione delle annate più antiche,a differenza di quelle più vicine, è, come è ovvio, principalmente “ricostruita” a partire da testimonianze storiche e di archivio (notevole, a questo proposito, è il contributo degli archivi privati dei Domaines che li hanno messi a disposizione, nei quali sono presenti molti preziosi appunti, non di rado anonimi, sulle diverse annate) , mentre è molto più limitato il ruolo degli assaggi diretti: sia per la loro rarità, sia per la conseguente mancanza di sistematicità. Del resto l’assaggio di vini di un secolo ed oltre, per quanto ancora oggi straordinari, non può avere lo stesso peso di quello dei vini più recenti. Innanzitutto perché si tratta nella maggioranza dei casi, di assaggi singoli, non confermati da riscontri successivi, di bottiglie assolutamente vetuste, dalle quali sarebbe impossibile inferire le caratteristiche generali di un millesimo. Per di più provenienti da pochi produttori di eccellenza, e , nella maggior parte dei casi dai climats di maggior prestigio, ciò che ne limita la generalità. Diversamente, l’esperienza diretta degli autori ha potuto pesare molto di più sul giudizio delle annate “contemporanee”, specialmente a partire dai primi anni ’80, quando Meadows cominciò a costruire la sua notevole conoscenza “by compulsively collecting and tasting, almost every Burgundy I could find-great, modest and in between”, e Barzelay iniziò a collezionare vecchi Borgogna degli anni ’70-’80, assai poco conosciuti già negli anni ’90, e allora paradossalmente meno costosi di quelli delle annate più recenti . Ovviamente la valutazione risulta molto più diretta e specifica, ma anche più soggettiva, in quanto non può non essere legata alla “filosofia” dei degustatori. Gli autori ne sono assolutamente consapevoli. Non c’è , affermano infatti, un solo modo di definire la “bellezza” dei grandi vini borgognoni: può esservi infatti un disaccordo anche importante tra coloro che amano la maturità del frutto, la potenza e l’intensità (come nei rossi del 1990, del 2003 o, in parte, del 2009) e quanti invece premiano maggiormente la trasparenza del terroir e la finezza (come nelle vendemmie del 1991, 2001 e 2010). E’ difficile, per questo motivo, dissociare completamente la valutazione di un’annata dal suo “stile”. Obiettivo degli autori non è però valutare un singolo vino, ma un’annata. Come ogni degustatore sa, non è affatto impossibile imbattersi in vini di altissimo pregio provenienti da annate povere e, al contrario, deludenti in altre in principio più favorevoli. Ma “ il successo di una manciata di vini o produttori può non essere rappresentativa della qualità complessiva di un’annata. Il criterio principale nella valutazione di una annata dev’essere: quanto sono buoni i vini migliori e quanto sono consistenti attraverso la gerarchia (dai vini regionali ai grand cru) e attraverso la Côte d’Or e Chablis?” La ricerca della necessaria “consistenza” mostra una differenza fondamentale nella valutazione delle annate antiche e di quelle recenti: nelle prime, infatti, essa non può essere ricercata tra valutazioni personali effettuate su campioni diversi in tempi diversi, ma soprattutto intersoggettivamente, ossia nell’accordo tra le (insufficienti) esperienze dirette e le valutazioni derivanti da più fonti scritte. Una difficoltà ulteriore proviene dalla stima della capacità di invecchiamento, caratteristica fondamentale dei vini di pregio e naturalmente della valutazione dei millesimi nel corso di un arco temporale lungo. Spesso, infatti, si tende a sovrastimare l’importanza dell’età alla quale un vino raggiunge la perfezione. Non tutte le annate raggiungono però il loro peak nello stesso momento: alcune annate diventano perfette a 25 anni, altre a 50. Annate come la ’52 , più strutturata, e la ’53 , fruttata ed elegante, furono molto diverse tra loro, ma ugualmente grandi al momento del loro apogeo: la loro valutazione può essere fortemente influenzata dal momento in cui sono assaggiate, specie se una sola volta. Ma certo il problema più grande della valutazione dei millesimi della Borgogna deriva dal fatto che , mentre le vendemmie di Bordeaux tendono a evolvere in modo facilmente prevedibile, secondo un pattern stabile , e la qualità dei migliori châteaux è consistente per lunghi periodi, in Borgogna la variabilità è la regola, anche a causa della diversità e dell’enorme frammentazione dei migliori terroirs. La diversità degli stili di vinificazione di ciascun produttore fa sì che essi possano, in una data annata, creare vini enormemente diversi, anche nel loro valore, pur provenendo dallo stesso climat .
Un accenno all’articolata struttura del libro: dopo un denso capitolo introduttivo, nel quale i due autori illustrano il metodo da essi seguito, il libro passa all’esame delle vendemmie del XIX secolo, partendo dall’eredità di quello precedente, il secolo dei Lumi. Ciascun capitolo, a parte il primo di essi , limitato agli anni 1845-1849, copre l’arco di un decennio: una breve view sintetica del periodo precede l’esame dettagliato delle singole annate , il cui valore è espresso mediante un numero variabile di stelle da 0 a 5, arricchito da alcune schede di assaggio ( i vini sono valutati in centesimi, separatamente per Meadows e Barzelay, se assaggiati da entrambi), destinate a diventare progressivamente più numerose nei capitoli dedicati alle vendemmie del ‘900, e da finestre di approfondimento su aspetti tecnici o più specifici, come la Premature Oxidation (pagg. 440-441), la nascita della prima denominazione protetta del 1921 (p. 118), il confronto tra le annate 1952 e 1953 (p. 222), le temperature anomale dell’annata 2002 (p. 485) . Avvicinandosi al periodo attuale, vengono delineate con maggior precisione, anche assegnando distinte valutazioni (a partire dal 1971), le caratteristiche di ciascuna annata per i bianchi e i rossi, tra i quali, nelle trattazioni più antiche, non venivano effettuate distinzioni, per quanto sia noto che le diverse annate non danno sempre risultati omogenei nei due colori . Esauriti i 55 anni dell’800 , il volume passa ad affrontare (capp. VIII-XVIII) con sistematicità le annate del sec. XX. A partire dal 1945, la valutazione analitica dell’annata (Vintage Assessment) è preceduta da una sintesi introduttiva (Quick Take) che fornisce ulteriori dettagli sulle caratteristiche generali di ciascuna annata: andamento climatico, data di inizio della vendemmie, volumi prodotti, gradi zuccherini, acidità, avvenimenti particolari ecc. Si prosegue così fino al secolo attuale: dopo l’esame del primo decennio (2000-2009), nel cap. XIX, quello del successivo si ferma al 2015, con l’avvertenza che, a partire dall’annata 2012, il consueto Vintage Assessment sarà, data la maggiore vicinanza delle vendemmie esaminate, solo tentative, e assumerà il titolo meno impegnativo di “First Impression”. Quei vini sono infatti ancora troppo giovani per poter dare una valutazione definitiva dell’annata, che potrà rivelare il suo valore effettivo solo a distanza di maggior tempo. Dopo una breve conclusione (gli autori non trascurano di precisare “for the moment”), e l’ampia bibliografia, c’è ancora spazio per un’utile appendice sulle “misure” borgognone e la loro conversione, e un glossario dei termini meno familiari per i lettori.
A parte le finestre delle quali si è già detto, il volume è ulteriormente arricchito da numerose schede, progressivamente più frequenti , com’è ovvio, man mano che ci si avvicina ai tempi attuali, che descrivono in dettaglio gli assaggi delle bottiglie migliori e più rappresentative: in annate particolarmente felici, anche più di 30 per una singola annata. Alcuni in particolare sono riportate in riquadri speciali colorati per distinguerli, contrassegnati da etichette speciali: “Memorable moments” descrive l’assaggio di bottiglie speciali, oltre che per la loro qualità eccezionale, perché legate ad un ricordo particolare : ad es. l’assaggio di un Richebourg 1978 di Jayer (p. 323), effettuato nel 2015, insieme ad una magnum del 1985 che suscitò una discussione su quale delle due Jayer avesse presentato come la sua migliore bottiglia. Altre, invece, sono indicate come “Wines for Lifetime”, le bottiglie di una vita, che hanno meritato questa menzione sia per il loro eccezionale valore, vicino ai 100/100, come uno straordinario Chambertin di Bouchard Père et Fils del 1865 (99+ per Meadows e 100 per Barzelay ), che per una coerenza fuori dal comune, mostrata nel corso di più assaggi, come il Musigny Vieilles Vignes del 1949 del Comte de Vogüe , vinificato da Georges Roumier: per Meadows il più grande winemaker borgognone del XX secolo, più dello stesso Jayer, per l’eccezionale consistenza dei suoi Bonnes Mares e dei suoi Chambolle Les Amoureuses tra gli anni ’20 e gli anni ’50, oltre che per i vini da lui prodotti per il Comte de Vogüe.
Le annate a 5 stelle, per i vini rossi sono, nel periodo considerato, quattro nell’800, otto nei primi 50 anni del ‘900 (nonostante le due guerre mondiali), tre nella seconda metà, due nei primi 15 anni degli anni ‘2000. Quanto ai vini i bianchi, da quando sono stati valutati separatamente, non hanno mai raggiunto il massimo punteggio, ma hanno frequentemente raggiunto le quattro stelle, non di rado superando la valutazione dei rossi : nell’ultimo quindicennio,nel 2000, 2004 (annata davvero molto difficile per i vini dell’altro colore), 2007, 2008 e 2014. Colpisce che dal 1984 non vi sia stata secondo gli autori nessuna annata estremamente negativa, che non abbia cioé ottenuto neppure una sola stella. Una conseguenza certo anche del cambiamento climatico, che ha favorito una più facile e completa maturazione delle uve. Nel secolo scorso furono ben 22 (tre nei primi tre anni del ‘900). L’annata “del secolo” XIX è stata quella del 1865,per il XX la 1915, a distanza di giusto 50 anni. Dobbiamo ancora attendere per conoscere quella del XXI, visto che abbiamo appena superato solo il primo decennio, ed è ancora troppo presto anche solo per stabilire la migliore tra le due annate penta stellate attuali (2005 e 2015). Gli autori citano a questo proposito il caso del 1962: grandissima annata, il cui valore fu però riconosciuto solo molto più tardi, negli anni ’80. Concludo con un accenno comparativo con le valutazioni espresse da Rigaux nel suo libro, preliminarmente chiarendo che le due opere sono incomparabili, sia per la diversa mole (il libro di Rigaux è di “sole” 138 pagine di formato più ridotto), che- in parte- per l’intervallo di tempo considerato- , oltre naturalmente per il fatto che si tratta di un libro di un solo autore. Rigaux ha valutato le diverse annate con una scala a tre punti, per la quale il massimo punteggio è assegnato alle vendemmie eccezionali. Riterremo quindi le tre stelle di Rigaux equivalenti alle 5 di Meadows e Barzelay. Rigaux riconosce generalmente la valutazione massima alle annate già indicate da Meadows e Barzelay, ma con qualche eccezione: 1945, 1949, 1962 , ritenute solo “grands millésimes”,e in parte 1934 e 1999, annate nelle quali il giudizio di “eccezionale” non ha carattere generale, ma è limitato ai vini migliori. Al contrario Rigaux indica come eccezionali numerosi altri millesimi che appaiono invece ridimensionati nella valutazione di Meadows-Barzelay: 1947, 1959, 1961, 1969, 1990, 2002, 2009 (solo per i rossi), 2012, 2014 (solo per i bianchi). A tutti questi millesimi Meadows e Barzelay riconoscono però almeno le quattro stelle, ad eccezione di 1961 (tre e mezza) e 1969 (solo tre) .
In conclusione si tratta di un’opera che per vastità, completezza e approfondimento, rappresenta uno strumento davvero unico, che risulterà indispensabile per appassionati, frequentatori di aste, Burgundy lovers. Basato su una ricchezza documentaria e un’esperienza di degustazione senza uguali (chi potrebbe dire di aver avuto modo di assaggiare più volte un La Romanée del 1915 e addirittura 14 un La Tache del 1962, l’ultima della quale nel 2017?), e vivacizzato dal confronto tra i due autori, è certamente un libro destinato a durare a lungo. Detto questo, se non ci si lascia sopraffare dalla enorme mole di spunti, osservazioni, dettagli, è di lettura molto interessante ad anche piacevole per la ricchezza aneddotica che attraversa l’intera opera.
* Una versione leggermente ridotta é stata pubblicata su Winesurf.it