Lo confesso: quando il mio amico Pasquale Porcelli mi ha sollecitato ad andare con lui ad una degustazione verticale di Falanghina del Sannio, mi era venuto quasi da sorridere. Sì, la Falanghina dei Mustilli la conoscevo da tempo, già dagli inizi del lavoro di Leonardo Mustilli, il primo a credere veramente in questa varietà: sapevo bene che si trattava di una Falanghina di qualità, diversa dalle molte altre che ho poi assaggiato, nel beneventano e un po’ in tutta la Campania, fatte per durare sei mesi e accompagnare la pizza al posto della birra, ma francamente mi era sembrata un po’ un’esagerazione. Addirittura una verticale!
L’esperienza mi ha più volte messo di fronte al fatto che, in certe annate, anche vini che non sembrano fatti per invecchiare abbiano una particolare resistenza, ma da qui a costruirci sopra una verticale… Quella delle verticali è ormai diventata una moda. Non se ne fanno più solo di grandi rossi da lungo invecchiamento, come Pauillac o Barolo, ma un po’ di tutto, dal Verdicchio al Bardolino. Si prende il vino dell’ultima annata, generalmente la più riuscita, lo si mette insieme con quelli delle due annate più vicine, si aggiunge una annata un po’ più vecchia, magari di quattro o cinque anni, quella che anche un po’ miracolosamente ha resistito al naturale decadimento, e la verticale è bella e costruita. Insomma non mi aspettavo proprio una cosa come questa, ma certo non quella di fronte a cui mi sono trovato: cinque annate di Falanghina , di cui la più giovane aveva quasi 15 anni (la 2002, peraltro nota in tutta Italia come l’annata-disastro degli anni 2000) e poi altre quattro, ancora più vecchie, fino al 1979. Per non parlare poi del vino che ha fatto un po’ da sparring partner di lusso alla degustazione, il Greco: altre cinque annate, dal 2001 al 1978. Entrati nella bella sala al pianterreno, nella quale si è svolta la degustazione, non abbiamo potuto non soffermarci un attimo davanti alle bottiglie preparate per l’occasione. Le etichette corrose dall’umidità, il colore indefinibile , coperto dall'affumicatura del vetro. Francamente non avrei neppure sospettato che il proprietario, Leonardo Mustilli, avesse conservato tante bottiglie di annate così lontane dei suoi due vini bianchi. Evidentemente sapeva quel che faceva e i fatti gli hanno dato ragione. Alla presenza delle sue due figlie di Leonardo e dell’enologo Fortunato Sebastiano, del gruppo dei napoletani di Luciano Pignataro e pochi altri appassionati, abbiamo dato dunque inizio agli assaggi. Alla sola lettura delle cinque annate prescelte per la degustazione di Falanghina (2002, 1996, 1988, 1986 e 1979), riportate con l’accompagnamento di note storiche sulle caratteristiche climatiche di ciascuna vendemmia, c’era davvero che restare di stucco. E’ infatti raro che, anche nelle verticali di rossi da lungo invecchiamento, siano comprese annate così vecchie. Quella dela famiglia Mustilli è stata quindi una decisione davvero coraggiosa. E le sorprese dovevano solo cominciare, a partire proprio da quella traumatica annata 2002 : un vino ancora fresco e vitale, con una vibrante innervatura acida, naso di grande pulizia e bella sapidità minerale.
La seconda Falanghina assaggiata è stata quella dell’annata 1996, che alla fine merita per me la palma di miglior vino degustato, con una indispensabile riserva: quando si raggiungono e superano i 20 anni di un vino, per di più non risommato, quello che si giudica è la bottiglia, non l’annata. In altre parole dovremmo parlare di “una grande bottiglia”, va da sé di una annata di valore. Anch’essa proveniente da una vendemmia , come si dice “sofferta” (primavera fredda con rallentamento della fioritura, poi, dopo un’estate abbastanza favorevole, un post- Ferragosto molto piovoso), una Falanghina davvero brillante, netta nei profumi, con note floreali , di mela golden, camomilla ed erba limoncella, di bell’impatto sul palato, fresco e sapido. Il vino dell’annata 1988, all’inizio la mia preferita (attenzione: parliamo di un vino di quasi trent’anni), di grande armonia gusto-olfattiva, note piacevolmente speziate, zafferano e anice stellato, ha poi un po’ ceduto, come era ovvio , però dopo che era stata più di mezz’ora nel bicchiere.
Commoventi le altre due annate: ovviamente vini che hanno da tempo cominciato il loro naturale declino, e pur tuttavia ancora vivi, e senza tracce di ossidazioni violente. La bottiglia del 1979, l’ultima, forse ha anche sofferto di un’apertura un po’ traumatica, per il cedimento del tappo, ed è quindi giudicabile con moltissime riserve. Restano le tre bellissime annate che le hanno precedute. I vini erano molto cangianti, diventavano diversissimi man mano che permanevano nel bicchiere e fino alla fine è stata una bella battaglia.
La degustazione di cinque vecchie annate di Greco (dal 2001 al 1978), molto interessante anch’essa, è stata un po’ oscurata da quella della sua più umile partner, che in quest’occasione ha rivelato potenzialità insospettate.
Non resta da dire che: Chapeau, a Leonardo Mustilli, all’enologo e alle due sorelle Mustilli che continuano con molta passione le tracce paterne. Certo che con quel po’ po’ di roba che hanno ancora in cantina, chissà che cosa si inventeranno la prossima volta. E poi un consiglio per chi non é mai stato da loro: colga l’occasione per visitare la splendida cantina pluricentenaria, profonda 15 metri, e assaggiare l’ottima cucina “di casa” della Locanda di famiglia. S.Agata dei Goti, poi, è un paesino molto suggestivo e vale una gita.
(Pubblicato il 27.5.2015)