La Revue du Vin de France, no.662, Juillet-Août 2022, € 7.50 in Francia, € 8.20 in Italia
Numero doppio “eccezionale”, come si autodefinisce in copertina, è dedicato per la parte maggiore (116 pagine sulle 184 totali) al Tour de France enologico delle 1.400 bottiglie a meno di 20 euro di tutte le regioni dell’Esagono.
Poi c’è anche altro: lo Champagne a tavola come partner dei nostri piatti, la saga di Olivier Jullien, Bordeaux affascinanti (le “pepite” dell’Entre-Deux-Mers), e, in apertura, la grande intervista al sindaco ecologista di Bordeaux, Pierre Hurmic, su vino, ecologia, clima.
Non mi soffermerò sulla maxi-degustazione delle migliori bottiglie per rapporto qualità/prezzo delle diverse regioni del vino, limitandomi ad accennare all’eccezionale performance del La Ronce 2019, Côtes-d’Auxerre rouge del Domaine Guilhem et Jean-Hughes Goisot e del Mercurey Chaponnière 2020 del Domaine Ninot- entrambi 95/100- che acquista una particolare rilevanza rispetto ai livelli , mai così alti, raggiunti dai vini della Borgogna: 19 euro il primo e 20 il secondo (naturalmente in Francia). Vale comunque la pena di spigolare questo Dossier, soprattutto per quanto riguarda i territori relativamente ancora poco esplorati, come la Savoia o il Sud-Ouest, nei quali è possibile imbattersi in piccoli vini molto interessanti, e soprattutto da varietà autoctone da scoprire. I bianchi dell’Entre-Deux Mers ( i meno cari di Francia) costituiscono una sezione aggiuntiva , a conclusione della grande degustazione : le ultime due annate offrono diverse piacevoli sorprese, con vini che superano la barriera dei 90 punti in vendita per meno di 10 euro, come il Roquefortissime di Château Roquefort 2020 (91/100, € 9.50) , e addirittura meno di 7 (un sauvignon blanc e gris di Château Les Arromans 2021, 90/100, € 6.50).
Dopo l’intervista a Hurmic , nella quale si discute di viticultura bio a Bordeaux, della sua rivalutazione dell’importanza della Cité du Vin, inizialmente contrastata, e del difficile rapporto con le altre grandi città del vino, come Dijon, e del suo contenzioso per la sede dell’OIV (Organisation internationale de la vigne et du vin), Denis Saverot presenta il punto di vista di Olivier Poels, per la serie dedicata ai “Grands Accords”, sul posto degli Champagnes a tavola. Gli Champagnes (Poels insiste sul plurale) non sono soltanto dei vini da festa, ma dei vini nel senso pieno del termine, capaci di accompagnare splendidamente la grande gastronomia. Le tavole sono molto cambiate, nel corso degli ultimi decenni, i piatti si sono molto alleggeriti e gli Champagnes offrono soluzioni spesso del tutto nuove per l’accompagnamento dei cibi.
L’articolo più importante di questo numero é quello che Jéremy Cukierman ha dedicato a Mas Jullien e al contributo che questo Domaine ha dato alla nascita e all’affermazione dell’appellation languedocienne delle Terrasses du Larzac. L’avventura di Olivier Jullien comincia negli anni ’80: deciso a definire un grande vino occitano identitario, si mette alla ricerca di un terroir appropriato e avvia una serie di sperimentazioni largamente intuitive , nelle quali ha via via appreso dai suoi errori. Nel corso di una sola estate ottiene il suo diploma, costruisce una cantina, vendemmia e vinifica le sue prime uve con mezzi rudimentali: dei vecchi ceppi di carignano, grenache e un tocco di syrah su ciottoli calcarei di Jonquières, suo paese natale. All’epoca solo tre ettari, una vinificazione artigianale, procedendo per gradi. Poi l’incontro con Charly Foucault del Clos Rougeard, la biodinamica, la ricerca di nuovi terreni, il magnetismo di Lous Rougeos. Il racconto della storia di Mas Jullien è punteggiato dall’assaggio di diverse annate di alcune cuvée emblematiche di questo Domaine, che ha rapidamente incontrato il favore del pubblico, contribuendo alla popolarità dei vini delle Terrasses du Larzac: i rossi Mas Jullien e Les Cailloutis, Au Tour de Jonquières , Carlan e Lous Rougeos e i bianchi, Mas Jullien, Les Vignes Oubliées , la Clairette Beudelle, le Sélections.
A conclusione di questo numero, Roberto Petronio mette a confronto, per la serie “Une appellation, deux styles”, due Cahors che propongono differenti interpretazioni del malbec e del territorio da cui provengono: una che punta sulla purazza l’altra sulla densità e la profondità, lo Château du Cèdre e il Mas del Périé in sei annate diverse, dalla 2009 alla 2019.
Oltre al consueto apparato di rubriche di ogni mese, non restano che la Bouteille Mythique n. 28 di Casamayor (lo Château -Grillet del 1974) e il dibattito su una bottiglia , che vede di fronte Pierre Citerne e Alexis Goujard: questa volta le bottiglie sono addirittura tre, tre diverse cuvée di chenin dell’Anjou di Thomas Batardière.